Gli scacchi sono un gioco ad informazione perfetta, in cui cioè ogni giocatore conosce tutte le mosse eseguite dagli altri giocatori. Nei giochi a informazione completa si richiede invece che ogni giocatore abbia tutte le informazioni sul contesto e sulle strategie degli avversari, ma non necessariamente sulle loro azioni.
Per esempio, ai giocatori potrebbe essere chiesto di decidere contemporaneamente la propria mossa, in segreto, e poi giocarla contemporaneamente, e quindi senza poter valutare preventivamente gli effetti nella mossa avversaria nell’elaborazione della propria strategia. I giochi a informazione perfetta sono necessariamente sequenziali, ovvero a turni. In questo modo, la mossa del giocatore può essere effettivamente basata su una conoscenza completa del contesto (incluse tutte le mosse avversarie rilevanti). Esempi classici di giochi a informazione perfetta sono gli scacchi, la dama, othello, il go, il backgammon e tutti i mancala,.
È possibile bluffare in un gioco a informazione perfetta? Beh per quanto la cosa possa essere sorprendente, la risposta è in qualche modo, si. Ma facciamo un passo indietro e vediamo più in dettaglio cosa è il bluff.
Il bluff è una possibilità consentita esplicitamente o implicitamente da ogni sistema di regole; spesso si ha la tendenza a confondere il bluff con il barare, ma questo non è corretto. Come abbiamo visto, il baro infrange le regole fingendo di rispettarle, mentre chi bluffa finge di trovarsi in un punto dello spazio delle regole diverso da quello che realmente occupa. Se si può sostenere che entrambi stanno ingannando, e sottolineiamo se, questo è dovuto solo all’ambiguità del linguaggio. L’inganno del baro è una truffa, l’inganno di chi bluffa è un tentativo di indurre in errore l’avversario, un tentativo che rimane sempre ben saldo all’interno dei gradi di libertà consentiti dal sistema di regole.
Nonostante questo, l’idea di bluff è sovente accompagnata da una connotazione eticamente negativa. Emblematiche ci sembrano le considerazioni che Cosimo Cardellicchio fa nel suo bel libro “Giocatori non biologici in azione”: egli da un lato chiarisce che il bluff non è una menzogna e porta ad esempio il giocatore di poker, il quale quando bluffa non mente, “ma sta solo dichiarando che è disposto a impegnarsi per quella cifra sulla combinazione che possiede. Se la cifra fosse eccessiva per la combinazione che ha, questo riguarda solo lui e i suoi interessi. Quest’atteggiamento non implica verità o falsità, né tanto meno implica connotazioni morali, ma è solo e unicamente basato, come detto, sulla convenienza a essere praticato”.
Dall’altro lato, mette in luce che ad esempio può essere “particolarmente irritante che un giocatore di poker, che sta già vincendo tanto, usi anche il bluff per aumentare le sue già pingui vincite” – in qualche modo irritante, perché in fondo “il bluff è solo una strategia tra le altre e bisogna applicarla secondo precise distribuzioni di probabilità, per rimanere imprevedibili. Proprio per questo un giocatore, che sta vincendo tanto, deve continuare a bluffare, perché altrimenti darebbe un vantaggio ai suoi avversari”.
Anche se non esiste sistema di regole che in qualche modo non permetta il bluff, questa strategia è principalmente associata con il poker. Nel sistema di regole del poker convivono due meccanismi principali: uno prevede di cercare di formare particolari combinazioni di carte, la cui gerarchia è collegata con la loro probabilità matematica di realizzarsi. L’altro è un sistema di puntate con il quale in qualche modo, si scommette sul fatto di possedere mani più alte degli avversari. Con la puntata un giocatore assegna un valore alla sua combinazione, e la grande idea del poker, il collegamento dei due meccanismi è che per vedere le combinazioni occorre almeno eguagliare la scommessa dell’avversario. Nella singola mano di poker lo scopo del bluff è quello di aggiudicarsi il piatto con una combinazione più bassa di quella degli altri giocatori. Ma nel contesto della partita lo scopo del bluff è ben diverso e più raffinato; esso mira a garantirsi la possibilità di vincere grosse somme quando si ha realmente una combinazione molto alta! Quindi non solo è utile che alcuni bluff non riescano, ma è addirittura essenziale, perché inducono gli avversari a vedere quando si ha effettivamente un gioco alto.
Un giocatore regolare, che non bluffa mai, che assegna sempre alle sue combinazioni un valore proporzionale alla loro posizione nella scala gerarchica, quasi mai vince somme elevate, poiché nessuno rilancia mai sulle sue puntate. Potrà vincere molte piccole somme, ma invariabilmente finisce col perdere. E questo vale anche per chi a un certo punto di una partita stesse vincendo: cambiando strategia e smettendo di bluffare diventerebbe prevedibile e finirebbe per essere rimontato. D’altra parte un giocatore “spericolato”, che bluffa troppo spesso, verrà sempre visto ed il suo destino è la sconfitta.
La migliore strategia consiste nel combinare i due comportamenti. Gli avversari devono essere lasciati nell’incertezza e anzi secondo alcuni il buon giocatore di poker deve evitare comportamenti prestabiliti e agire casualmente, spingendosi a volte fino a violare i principi del gioco corretto.
Anche i Maestri di scacchi trovano spazio per il bluff nella loro pratica agonistica. Un esempio ci viene offerto dalla scelta dell’apertura effettuata da Nigel Short nella sesta partita del match con Garry Kasparov per il campionato del mondo del 1993.
Su questo match Dominic Lawson, giornalista e amico di Short ha scritto un libro che esplora i processi psicologici della sfida, soprattutto dal punto di vista del giocatore inglese.
La mattina del giorno della sesta partita, Short annunciò a Lawson che quel giorno avrebbe giocato una delle varianti predilette dal suo avversario, l’attacco Sozin della Difesa Siciliana. Lawson ci dice con meno esagerazione di quanto un non esperto potrebbe immaginare che Kasparov conosceva le caratteristiche di questa apertura con un intimità normalmente associata alle relazioni tra amanti, mentre Short, in tutta la sua carriera, non avevo mai giocato quest’attacco.
Lawson riporta il seguente dialogo:
“Il Sozin ok, è l’arma preferita da Kasparov contro la Najdorf, ed egli la conosce meglio di quanto io potrei mai sognare, ma è proprio questo il punto. Quando lo giocherò, egli sarà spaventato da mosse che io neanche avrò immaginato. Userò le sue conoscenze contro di lui”. “Ma non è un bluff? Che bisogno ha Kasparov di dare per scontato che tu conosci tutte le sottigliezze di quest’apertura?” “Qui viene utile la quinta partita. Ha mostrato che sono capace di brillante preparazione, di prevedere ogni sua mossa, e di giocare un intera partita senza lasciare il mio database segreto. Sono in una posizione di bluffare. Lui non può essere sicuro che io non conosco tutto quello che conosce lui sul Sozin. È come a poker, per bluffare con successo, non devi avere la reputazione di un bluffatore, o verranno a vederti”. “è una strategia molto rischiosa”. “Naturalmente. Ora andiamo a pranzo”. Per la cronaca, il bluff di Short ebbe successo, Kasparov scelse una linea secondaria e con un gioco aggressivo il giocatore inglese si portò in vantaggio, fino a che cadde in quello che potremmo definire il controbluff del Campione del Mondo. Nella posizione critica della partita Kasparov giocò la sua mossa, e ostentò la massima tranquillità, alzandosi nonostante fosse rimasto con pochissimo tempo di riflessione, e eseguendo una serie di riti che era solito praticare quando pensava che la partita non avesse più niente da dire. In effetti, dopo la mossa di Kasparov, Short aveva a disposizione una bella combinazione che però portava solo ad una patta per scacco perpetuo. Short scelse proprio quella linea, e fu lo stesso Kasparov a mostrargli la mossa vincente, subito dopo che fu concordata la patta.
È interessante notare come il bluff di Short sia un bluff nel gioco come “game”, poiché fa riferimento alle mosse giocate in quella precisa partita e alle mosse giocate dai due giocatori nelle loro partite precedenti mentre il bluff di Kasparov si realizza nel contesto del gioco come “play”, mettendo in scena una particolare rappresentazione di se stesso mentre gioca (play) il gioco (game).
Ovviamente il bluff nel contesto “play” è altrettanto diffuso di quello nel contesto del “game”. Mentre preparavamo queste righe ci siamo imbattuti nella storia di Brunello Cucinelli, raccontata da Antonio Cianciullo ed Ermete Realacci nel loro libro “Soft Economy”: ecco come loro raccontano gli inizi del futuro “mago del cashmere”.
“C’era una volta un piccolo imprenditore che lavorava a capo chino in un bugigattolo di quaranta metri quadrati. Veniva dalla campagna e aveva chiesto 500 mila lire in prestito a una banca per comprare pochi chili di lana che aveva trasformato in maglioni. Faceva tutto da solo: puliva per terra; confezionava i pacchi per la spedizione; rispondeva al telefono facendo finta di essere il factotum dell’azienda poi cambiava voce e si trasformava nel proprietario. Bussa alla porta di un direttore di banca che conosce e ottiene 500 mila lire con cui si fa confezionare cinque maglie, dì cui una di cashmere, per il suo campionario. Poche, troppo poche per tentare anche un semplice esperimento di vendita: bisogna arrivare almeno a un centinaio. Per fortuna a Cucinelli la fantasia non manca. Inventa una lunga lista di clienti affidabili, già collaudati da tempo, tutte persone note per pagare pronta cassa. I fornitori gli credono e gli consegnano i materiali da lavorare. Il futuro “mago del cachemire” produce i maglioni che ha inventato, li porta fino in Trentino Alto Adige, dove aveva letto che c’era la più bassa percentuale di pagamenti non rispettati, e trova il primo cliente…. Qualche altro volontario si aggrega al gruppo dei primi acquirenti. Comprano pagano e l’avventura comincia. Per sei, sette, anni le richieste aumentano, ma le strutture non esistono ed è difficile convincere i clienti a comprare la merce prodotta da una sola persona, a fidarsi di un’azienda tessile individuale. E allora, Cucinelli …. Costruisce con fantasia salgariana un mondo inesistente. Inventa un gruppo di lavoro affiatato – settantadue dipendenti di cui vanta le capacità e la voglia di lavorare – e capitali di famiglia che possono garantire il rischio d’impresa. Quella ditta non esisteva, ma i maglioni si.”
Ai due meccanismi del gioco del poker, la gerarchia delle combinazioni e quella delle puntate, qui corrispondono la qualità del prodotto e la solidità della struttura aziendale. Se nel poker con il bluff si associa ad una combinazione scadente un alto valore economico, qui “l’indurre in errore” consiste nel far credere che dietro un’alta combinazione (i bei maglioni di Cucinelli) corrisponda, come ci si aspetterebbe, una solida struttura aziendale.
continua
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