Ecco la seconda parte dell’articolo di Nicola Vozza sul “turtle time”. Un termine coniato per il tennis ma che ben si adatta, come capirete leggendo, anche agli scacchi. E d’altronde in entrambi gli sport tu sei solo contro il tuo avversario, con tutte le implicazioni psicologiche che questo comporta. La Redazione
Il campione di tennis statunitense Brad Gilbert (nella foto in alto) chiama questa strategia “turtle time” e spiega che il suo scopo è quello di modificare le dinamiche di quello che sta succedendo sul campo di gioco. La vittima del “turtle time” diventa impaziente, quando si diventa impazienti si tende a fare le cose di fretta, quando si fanno le cose di fretta si commettono errori fisici e mentali. Quando si commettono degli errori si perdono dei punti.
Il gioco di un tennista può uscirne distrutto se non è in grado di trovare delle contromisure immediate. Gilbert racconta di un suo match contro il grande Ivan Lendl (nella foto in basso) nei quarti di finale di un torneo internazionale del 1986. All’epoca Lendl era il numero uno del ranking mondiale, mentre Gilbert si aggirava intorno al dodicesimo posto, e in più non aveva mai battuto Lendl in precedenza. Gilbert afferma che in quel match sentiva una certa pressione perché era consapevole che una sua vittoria sarebbe stata psicologicamente molto importante per la sua carriera ed in più sentiva che una vittoria quel giorno era alla sua portata.
Ecco come andarono le cose nel racconto di Gilbert. Lendl vinse il primo set, ma poi Gilbert trovò il suo ritmo e vinse il secondo set per 6 – 3 e si portò a condurre 2 a 0 con il servizio a disposizione nel terzo e decisivo set. A Gilbert sarebbe stato sufficiente mantenere i suoi game di servizio per aggiudicarsi il match. Lendl a questo punto capisce che per rimanere in partita deve fare qualcosa e possibilmente deve farlo in fretta. È ovvio ad entrambi i giocatori che Gilbert è nella “zona”, uno di quei momenti in cui si è concentrati, con buoni colpi, buoni piedi e un’attitudine positiva. L’inerzia del match era tutta dalla parte di Gilbert, e Lendl intuisce che questa è proprio la cosa più importante, interrompere l’inerzia, fare uscire Gilbert dalla “zona”.
Gilbert racconta che si stava preparando a servire per il terzo game del terzo set, ed era praticamente pronto quando Lendl si rivolse all’arbitro chiedendogli di ricordare al pubblico di non usare flash. Gilbert fa notare che dopo due ore di tennis e due set e mezzo, il pubblico non scatta più fotografie perché ha già finito le pellicole. Ovviamente la richiesta di Lendl aveva l’unico scopo di spezzare il ritmo di Gilbert. Viene giocato un punto. Subito dopo Lendl cammina verso il giudice di linea e gli chiede se è sicuro della chiamata. E già che c’è gli chiede anche della chiamata precedente, e suggerisce che forse il giudice di linea dovrebbe prestare più attenzione. Poi lentamente torna sulla linea di fondocampo, scuotendo la testa come per dire, ehi, quanto è difficile questa vita! Prima di arrivare alla linea di fondo si ferma ancora per asciugarsi con l’asciugamano. Niente che non sia legittimo, semplicemente, lentamente sta cercando di rallentare il ritmo del gioco. Gilbert è pronto a servire.
Lendl un attimo prima della sua battuta si rivolge all’arbitro, dicendogli di dire a Gilbert di non metterci così tanto a servire, perché sta distruggendo il gioco. Gilbert fa notare all’arbitro che sta servendo come ha fatto tutta la partita, e l’arbitro è d’accordo, ma lentamente la trappola di Lendl sta iniziando a funzionare. “Il mio ritmo e la mia concentrazione non sono più gli stessi, Lendl cerca di non farmi pensare ai miei colpi, ma a quanto ci sto mettendo per battere, e ci sta riuscendo. Poiché mi accorgo di tutto questo, per reazione cerco di contrastare la sua strategia di rallentare il gioco accelerandolo, inizio a fare le cose più in fretta e divento impaziente. Non è la cosa giusta da fare, anzi è esattamente quello che voleva Lendl. Perdo il servizio. Lendl va a servire. Sono furioso, voglio un altro break e lo voglio subito. Lentamente Lendl si avvicina alla linea di servizio. Io sono pronto, ma lui non ancora. Inizia con la sua routine delle sopracciglia, (ricordiamo Lendl era solito giocare con le sopracciglia nei momenti topici). Poi deve decidere con quale palla servire. Ne guarda una, poi ne prende un’altra e la guarda ancora. Poi ancora la prima. Poi inizia a giocare con le palle poi le guarda ancora una per una. Finalmente decide; io sono ancora nella posizione di risposta. Pronto a servire? Lendl inizia a far rimbalzare la palla che ha scelto. Una, due, tre volte. Quattro. Aspetta un minuto deve avere del sudore sugli occhi, si asciuga, e ricomincia a far rimbalzare la pallina. Una, due, tre volte. Ferma tutto, Ivan cerca nelle tasche della polvere di gesso. Batte la sua racchetta un paio di volte. Io sono ancora nella posizione di ricezione al servizio. Un colpo della racchetta alle scarpe. Fa rimbalzare la palla ancora una volta. Mi guarda. Serve. Ace! Lendl conduce 15 a zero. Io sono ancora nella posizione di ricezione al servizio. Da 2 a 0 per me nel terzo set non vincerò più un altro game, Lendl vinse sei giochi di fila per aggiudicarsi il terzo set per 6 a 2. Questo è il Turtle time.“
Quella volta Lendl riuscì a spezzare il ritmo e la concentrazione di Gilbert, ma come bisogna comportarsi per contrastare la strategia di rallentare il gioco? Gilbert dà una serie di consigli, ripete più volte che bisogna essere pazienti, ma in pratica il concetto chiave è che bisogna mantenere l’iniziativa. Non c’è niente che si possa fare per velocizzare il ritmo dell’avversario, ma possiamo fare molto con le nostre azioni, possiamo metterci anche noi a far rimbalzare la palla otto o nove volte, possiamo fermarci a legarci le scarpe e ostentare il gesto, l’unica cosa che non bisogna fare è subire l’iniziativa psicologica dell’avversario. In conclusione Gilbert ricorda:
“Ma quella volta con Lendl le cose non funzionarono perché non mi accorsi in tempo della sua tattica e quando me ne accorsi reagii con rabbia e frustrazione.
È onesto dire che non fu l’atteggiamento di Lend il motivo per cui persi, ma la dinamica di un match è volatile, e persi il match perché non fui capace di rispondere correttamente alla strategia di Lendl.”
La gestione del tempo del resto è un attività che viene ormai insegnata nei corsi per manager. La prima legge di Parkinson sostiene che “il lavoro si espande fino ad occupare tutto il tempo disponibile; più è il tempo e più il lavoro sembra importante e impegnativo”. In altre parole, dato un tempo a disposizione, esso sarà impiegato per terminare una certa attività; quindi se avremo poco tempo lo useremo tutto, se ne avremo molto, lo useremo tutto lo stesso. Se si ha un certo tempo per svolgere un determinato compito, si impiegherà quel tempo, se il tempo a disposizione è il doppio, o il triplo, si userà comunque tutto il tempo a disposizione, che tenderà a sembrarci poco. Queste considerazioni ci portano ad un’altra legge, quella di Pearlman, la quale sostiene che il prodotto dello sforzo per il tempo è una costante, che implica che spesso si tende a concentrarci non tanto sullo sforzo da mettere in campo per compiere una certa attività, quanto sul tempo a disposizione.
Per imparare a gestire il tempo, si può iniziare a riconoscerne tre tipologie:
– il tempo imposto dal sistema
– il tempo imposto dagli altri
– il tempo che governiamo da soli
Gilbert sarebbe d’accordo nell’affermare che il terzo set del suo match con Lendl si è svolto in gran parte “nel tempo imposto dagli altri”. E anche se in una maniera leggermente diversa l’aver subito troppo il tempo imposto da Kasparov è stato l’errore che in pratica è costato a Karpov il titolo di campione del mondo di scacchi.
Gli esperti di organizzazione aziendale hanno provato a formulare delle regole per la corretta gestione del tempo. Alcune di esse sono:
– Usare del tempo per organizzare il tempo, programmando in anticipo l’utilizzo del proprio tempo
– Essere sempre consapevoli del tempo che impieghiamo nelle diverse attività e valutare l’efficienza del tempo impiegato
– Assegnare un budget temporale a ogni attività
– Essere realista nella valutazione del tempo
– Privilegiare le sequenze di lavoro omogeneo
– Prendere coscienza della soggettività del tempo
– Privilegiare l’essenziale
– Non rimandare a più tardi le decisioni da prendere
– Assegnare un ordine di priorità ai compiti da realizzare, che è come dire fissare o analizzare in dettaglio il sistema di punteggio del nostro gioco
– Tenere conto dei propri ritmi e dei ritmi dell’azienda
– Alternare i compiti di natura differente evitandone la dispersione
– Ottimizzare l’utilizzo delle capacità cerebrali, magari imparando a farlo dai campioni dello sport, come Lendl e Kasparov.
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