“Lo spettacolo pop”, come lo hanno chiamato quelli del Corriere della Sera credendo che i campioni di scacchi siano diventati dei cantanti o dei tronisti, è cominciato. Il match fra Magnus Carlsen e Sergey Karjakin ha finalmente preso il via a New York e noialtri, che non vogliamo essere secondi a nessuno, facciamo come fanno tutti: ne parliamo.

Non solo. Vi mettiamo nero su bianco, con la massima serietà, le nostre ardite previsioni della vigilia. Perché anche noi, come tutti, siamo commissari tecnici, sondaggisti (“Hillary Clinton spazzerà via Donald Trump”), economisti (“la Borsa sale” e arriva il crollo) e, insomma, giochiamo benissimo quando a giocare sono gli altri.

Ma non prevederemo che questo sarà un match di altissimo interesse teorico con aperture di stretta attualità. L’ultimo grido della moda. Infatti le prime due partite hanno visto una Trompowsky, che in tutto il mondo è adottata in modo sistematico da non più di due o tre giocatori, e una variante della Spagnola che probabilmente veniva considerata arcaica già a fine Ottocento (a proposito: lo sapete che il grande Blackburne giudicava la Spagnola una cosa troppo pattaiola da adottare solo quando bastava il mezzo punto?).

E non prevederemo partite al fulmicotone, con attacchi vibranti e combinazioni da capogiro, capaci di tenere i fan incollati per ore al terminale. Infatti le prime due del match sono state partite da sbadiglio. Profonde e dense di contenuti, per carità, ma tutt’altro che movimentate.

Questo è il nostro vaticinio. Carlsen è il grande favorito ma Karjakin non parte battuto: è grintoso, tenace, ha i nervi saldi, è un difensore formidabile e, sul piano tattico, forse è addirittura leggermente superiore. Dicendo questo teniamo i piedi in due staffe ed evitiamo figuracce. Tiè.

Il Campione del mondo ha una caratteristica: spesso sparecchia la scacchiera semplificando anche l’impossibile per poi accingersi a cavare sangue dalle rape in posizioni in cui chiunque altro firmerebbe il formulario e andrebbe a cena. E il bello è che riesce pure a vincere. In questo è simile a Ulf Andersson (chi se lo ricorda?) ma rispetto al leggendario svedese è molto più cattivo: mentre Andersson certe partite le lasciava per patte già alla ventesima mossa, lui gioca sempre fino alle estreme conseguenze, mettendo a dura prova la pazienza dell’avversario e degli spettatori. Karjakin è stato definito da qualcuno (non vi dico chi) un “pallettaro”. Nel senso che si limita “a ributtare la palla dall’altra parte” e “ad aspettare l’errore”. La definizione è ingenerosa: lo sfidante è uno che sa attaccare e combinare come pochi. Il problema è questo: “Certo di giocare – ha dichiarato una volta – in accordo con le esigenze della posizione. Non ti puoi avventare contro l’avversario senza una giustificazione sufficiente. E se qualcosa andrà storto, la patta è un buon risultato”.

Ecco. Queste sono le premesse. E adesso le previsioni del tempo. Il bollettino meteo (anche sulla scorta delle prime due partite) annuncia una caterva di patte, finali-maratona in posizioni sempre sul filo del +0.00, pochissimi strafalcioni, colpi di scena con il contagocce. Potrebbe vincere Carlsen. Ma anche no.

Staremo a vedere. Sarebbe piacevole essere smentiti. Sarebbe divertente se questo articolo si trasformasse in una pagina di “Le ultime parole famose” della storica rivista di enigmistica. Ci farebbe sentire importanti. Come i sondaggisti, gli economisti e i giornalisti.

 

Alcuni link per seguire la sfida mondiale:

 

 

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