Un’antica leggenda nota a tutti gli scacchisti attribuisce l’origine del gioco ad un saggio Indiano, che grazie ad un astuto calcolo vinse una fortuna esorbitante.

Si limitò a chiedere, come tributo per l’invenzione del passatempo un chicco di riso per la prima casella della scacchiera, poi due, quattro, sedici e così via esponenzialmente, per raggiungere cifre incalcolabili prima ancora di raggiungere h8. 

Che la leggenda abbia un fondo di verità o no, ciò che insegna è il valore che il gioco, o l’arte, degli scacchi ha in “patria”, profondamente radicato nella cultura di tutti gli indiani. Per le strade di Benares e Nuova Delhi non è raro incontrare distinti signori seduti a una scacchiera a sorseggiare tè allo zenzero, il cosiddetto chai, mentre muovono i pezzi. 

Ma gli scacchi in India non sono solo un passatempo e anzi rivestono un importante ruolo sociale. I più forti giocatori non sono campioni o menti brillanti, bensì eroi. Proprio così, personaggi quasi mitologici da venerare e festeggiare per le loro doti sovrannaturali. Lo stesso, sia inteso, succede con attori, benefattori, monaci e così via. Se per noi è impensabile anche solo paragonare la popolarità di Caruana a quella di Totti o Del Piero, per gli indiani Anand è all’altezza di un nostro San Francesco.

Anche i monaci sadhu, ovviamente, giocano a scacchi. Essi sono ciò che è più vicino in terra allo splendore degli dèi, sono esempi di virtù e saggezza. Giocare contro un sadhu è un onore e permette di creare un legame speciale con un santo il cui consiglio o la cui benedizione sono inestimabili. Certo, bisognerà pur perderci contro qualche volta; e accettare alcune regole casalinghe come la promozione a Cavallo nelle colonne di Cavallo e ad Alfiere nelle colonne d’Alfiere; ma la soddisfazione di battere un santo si avvicina a quella che provò il cavaliere che, offerto un cavallo alla Morte, pattò comunque contro il pedone di Torre. 

Se le menti più sagge e più elaborate si deliziano alla scacchiera è perché, tutto sommato, lì ci si può trovare qualcosa di divino, fonte di sapere e potere. Entrarci in contatto eleva ogni uomo, o almeno ogni indiano, ad un gradino superiore rispetto alla massa plebea. Ma non montiamoci la testa, scacchisti: la scala per la beatitudine e il “samsara” è ancora molto lunga.

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